Intervista a Shivaprem
D. Life Celebration Dance… un titolo suggestivo, di che cosa si tratta ?
AMS.: Letteralmente la Danza che celebra la Vita, più che un seminario la consideriamo un esperienza di celebrazione e di completamento che ci piace offrire ai nostri partecipanti al termine di un ciclo di seminari per la crescita personale. L’esperienza “LIFE CELEBRATION DANCE” trae ispirazione dalle molte forme di danze tribali e sciamaniche che per più di quattromila anni hanno accompagnato l’Uomo nei momenti cruciali della sua vita ancestrale, scandita dai ritmi della natura, dal ciclo delle stagioni, dai solstizi e dagli equinozi.
Le danze tribali hanno da sempre accompagnato gli esseri umani nella celebrazione dei riti di passaggio alla fine o all’apertura di un nuovo ciclo di vita.
Nel nostro caso la danza non è correlata soltanto ai cicli stagionali legati alla semina o al raccolto, ma attualmente è intesa come momento di celebrazione per l’apertura o il compimento di un passaggio di vita interiore, quando vecchie convinzioni limitanti sono comprese e risolte ed un nuovo ciclo di vita psicologica ed emotiva si apre davanti a noi.
D.: Uno strano accostamento questo delle danze tribali con i temi della crescita personale, specialmente oggi con la diffusione delle tecniche di psicoterapia… non c’è un modo più moderno per sostenere la crescita personale?
SM.: Danzare è uno dei più grandi piaceri della vita, un vero regalo che ci offriamo quando lo facciamo naturalmente, senza controllare e guidare il movimento.
Quando danziamo al di là di ogni forma e stile lasciando scorrere il naturale flusso di pensieri e sensazioni, permettiamo che affiorino spontaneamente dalla memoria ancestrale quei movimenti e quelle sensazioni che la razza primitiva antenata dell’umanità danzava attorno ai fuochi rituali. Se osserviamo un bambino danzare liberamente al ritmo dei tamburi noteremo che danzerà spontaneamente in questo modo senza averlo mai appreso da nessuno. Quei movimenti sono scritti nella memoria ancestrale di ciascuno di noi, non c’è bisogno di apprenderli nuovamente. A tal proposito ricordiamoci che nella filogenesi di formazione della vita in grembo materno, il nascituro, prima di assumere la forma umana, passa attraverso una serie di mutamenti antropomorfi, quasi passasse in rassegna le varie forme di vita che hanno preceduto la forma umana, figuriamoci se nel nostro DNA non sono registrate le esperienze tribali dei nostri antenati. Il problema è che nello stile di vita che conduciamo non ci permettiamo di ascoltare quelle sensazioni ed i segnali che il nostro corpo ci manda per recuperare quello stato di naturalezza…
La Life Celebration Dance offre un occasione per riconnettersi in modo facile e gioioso con la propria fisicità offrendo al nostro corpo uno spazio per muoversi ed esprimersi liberamente al ritmo di belle musiche, senza chiedergli in cambio nessuna prestazione particolare. E’ una pratica che i nostri avi hanno praticato nelle varie forme per migliaia di anni ed oggi purtroppo ce ne siamo dimenticati. Ed anche le proposte dei locali notturni e delle discoteche non sono più in grado di soddisfare questa esigenza.
D: Quindi voi proponete di ritrovare se stessi danzando un po’ come i nostri antenati quando festeggiavano la semina o il raccolto?
AMS.: Ritengo che oggigiorno la vera semina ed il vero raccolto siano quelli che accadono nel nostro animo, dove conta soltanto l’esperienza diretta con la nostra Essenza, al di là delle più seducenti teorie psicanalitiche.
Io penso che pur vivendo nel terzo millennio circondati da sofisticatissime tecnologie ed armi potentissime, di fatto nel profondo del nostro animo siamo ancora dei piccoli esseri tribali, bisognosi di una reale connessione con il pianeta che ci ospita e che ci sostiene totalmente, ma raramente ce ne ricordiamo ed ancor più raramente ci soffermiamo ad esprimere a Madre Terra un pensiero od un gesto di ringraziamento.
Le varie tecniche di psicoterapia, hanno il grande merito di aiutarci a comprendere le origini delle complicazioni che accadono nella nostra percezione mentale più o meno conscia, ma a parte qualche preziosa eccezione, non ci hanno ancora indirizzato a recuperare un rapporto energetico e celebrativo con la vita e con il pianeta.
Per capire ciò è sufficiente guardare un telegiornale “occidentale” ed osservare il comportamento di quel quarto di popolazione quasi vive quasi soffocata dalla propria abbondanza e sempre più sconnessa dalla vita, isolata ed impaurita, impegnata soltanto a percepire il resto del mondo come nemico da cui difendersi. Ricordiamoci che gli altri tre quarti degli abitanti del mondo che vivono ancora in una dimensione preindustriale, sono molto meno afflitti di noi da disturbi psicologici e malattie degenerative. Basta compiere qualche viaggio nei loro paesi per scorgere nei loro sguardi quella serenità e quella connessione che noi con le nostra ricchezze non potremo mai più ritrovare se non riconnettendoci con la stessa fonte di vita che illumina il loro sorriso… la vita stessa.
D.: A chi vi ispirate per la tecnica di questa danza ?
AMS.: Già molte persone prima di noi hanno avuto l’intuizione di utilizzare i ritmi tribali per sostenere il risveglio dell’energia profonda dell’essere umano e sostenerlo nei processi di crescita personale. Primo fra tutti Osho Rajneesh, il più originale e discusso Maestro di Realtà contemporaneo che nella sua vita ha creato molte tecniche di meditazione dinamica, utilizzando appunto l’intensità del movimento corporeo, spesso associato alla danza, per favorire l’esperienza del silenzio interiore e della trascendenza.
Oltre a Lui, voglio ricordare con riconoscenza un altro grande ricercatore ed interprete della tribalità asservita alle esigenze del 21° secolo: Frank Natale.
F. Natale ha sperimentato personalmente molte delle tecniche sciamaniche e di espansione della coscienza di varie popolazioni e culture tribali ancor oggi vive e praticate, derivando un suo metodo originale, la “Trance Dance“ appunto, con cui ha formato alcuni facilitatori che tuttora ne diffondono la pratica.
Il nostro approccio si discosta dal quel suo ottimo lavoro, portando l’enfasi del movimento più sull’aspetto celebrativo che non su quello della pratica sciamanica. Nel nostro lavoro, e particolarmente nella “Life Celebration Dance”, la danza è praticata a compimento di un ciclo di lavoro in cui abbiamo già sperimentato con i partecipanti altre tecniche consapevolezza, Breathwork e meditazione.
D.: E’ difficile praticare questa Life Celebration Dance ?
SM.: No anzi, l’enfasi è proprio sulla facilità e sulla naturalezza. La pratica è semplice: non c’è bisogno di fare nulla di particolare. La musica stessa sarà la nostra ispirazione e la nostra guida. La danza si svolge ad occhi chiusi (coperti da una bandana) e ciò consente di mantenere l’attenzione all’interno non essendo distratti a osservare gli altri, o a temere di essere da loro giudicati per l’estetica dei nostri movimenti.
Di fatto non è una danza per socializzare, ma un occasione per tuffarsi con l’energia del movimento al centro della propria interiorità. Con gli occhi chiusi, coperti dalla bandana ed il corpo rilassato, ci abbandoniamo all’ascolto dei primi grooves di percussioni permettendo alla nostra istintività, libera del bisogno e dal timore di mostrarsi, di seguire il ritmo fino a sentirlo pulsare dentro di noi in modo tale da ispirare i movimenti del corpo come promossi autenticamente dal sentire interiore della musica e del ritmo.
Questa modalità di ascolto e di movimento, libera dall’esigenza di seguire un qualche modello estetico, favorisce il rilascio delle tensioni corporee, ed in breve tempo si rilasciano anche le tensioni psichiche ed emotive.
D.: Quali sono gli effetti di questa danza ?
AMS.: E’ innanzitutto un’occasione per essere liberi di lasciar esprimere il corpo e ascoltarne i messaggi, ascoltare le proprie emozioni ed i propri pensieri in un momento di grande sviluppo di energia. Ci si lascia guidare dalla musica, dai suoni, lasciando a loro il compito di dar origine al movimento del corpo. Danzando raccolti in noi stessi con gli occhi bendati, creiamo un evento assolutamente unico e personale per ciascuno di noi, performando un’azione che non ha niente a che vedere con le aspettative degli altri, ma soltanto con ciò che vogliamo dedicare a noi stessi.
Sappiamo che ognuno di noi ha il proprio ritmo vitale ed il proprio movimento e con l’esperienza della “Life Celebration Dance” impariamo a riscoprirli dolcemente permettendoci di essere totalmente noi stessi senza valutazioni esterne.
Quando ci muoviamo con movimenti spontanei e naturali, non più preoccupati di ciò che gli altri pensano di noi, liberiamo la nostra memoria ancestrale bloccata dai condizionamenti sociali e sperimentiamo con grande sollievo un afflusso di nuova energia vitale che schiarisce la mente mettendoci in contatto con le nostre intuizioni più profonde.
La danza diviene così rilassante e allo stesso tempo energizzante; attraverso questo approccio risvegliamo il movimento naturale del corpo e della nostra vitalità.
Attraverso la “Life Celebration Dance” favoriamo l’esperienza di una percezione più sensibile e raffinata di noi stessi, quello che i ricercatori definiscono coscienza non ordinaria o espansa di Sé, laddove iniziamo a “vedere e sentire” con l’intuizione interiore e sottile piuttosto che con i sensi esteriori. Questa danza porta a “pensare col cuore”, come facevano i nostri antenati, invece che solo con la parte logico – razionale.
Diceva Frank Natale che “mentre il corpo danza, l’anima viaggia e ricorda, libera dai limiti di questa vita. Viene risvegliata un’energia enorme poiché il corpo si riempie totalmente di esistenza, completamente presenti, pieni d’amore, di energia e di passione per la vita. Finalmente siamo soddisfatti di essere degli Esseri Umani.”
Mi sembra una definizione davvero appropriata poiché quando danziamo in questa modalità favoriamo davvero un profondo e coinvolgente stato di coscienza espanso ricco di sensazioni, immagini, ritmi, odori, forme, luoghi che esistono nella nostra percezione più sottile, oltre il tempo e lo spazio.
Danziamo dall’interno verso l’esterno e allora, senza resistenza, possiamo sperimentare noi stessi attraverso nuovi sensi, privi del condizionamento e dei limiti della realtà ordinaria.
D.: Si tratta allora di Musicoterapia ?
SM.: No, non esattamente, poiché danziamo senza un particolare intento terapeutico, senza un qualche cosa di specifico da dover modificare, trasformare
o guarire.
In questo stato attivo e sensibilizzato si giunge spontaneamente senza che ci venga richiesto di pensare consciamente all’esperienza; cominciamo semplicemente a lasciarci trasportare dal ritmo nel flusso eterno della vita. Ad un certo punto della danza, potremmo sentire una vibrazione di energia muoversi attraverso il corpo che ci ispirerà dei movimenti spontanei atti ad intensificare il movimento e la liberazione di tensioni ancor più profonde, fisiche, psichiche ed emotive. E’ il manifestarsi della saggezza corporea che si prende cura di sé, stimolandoci a fare quei movimenti liberatori e pacificanti di cui sentiamo tanto il bisogno, ma che raramente ci permettiamo di manifestare.
Il suggerimento è di assecondare questa energia con la fiducia che stiamo favorendo il movimento e la manifestazione della nostra vera essenza. Il contatto con la nostra interiorità diverrà allora non soltanto teorico, ma realmente percepibile e sentito dal danzatore che in qualche modo diviene un tutt’uno con il movimento della danza; diviene danza egli stesso, come Osho suggeriva in uno dei suoi mirabili discorsi.
A questo punto tutto il movimento diviene una danza, e la Danza diviene pura celebrazione. La celebrazione della vita che ci anima. Ecco allora accadere la comprensione esperienziale del vero significato espresso nel titolo “Life Celebration Dance”: quando entriamo in contatto con colui o colei che sta celebrando la vita attraverso la danza scopriamo che è la Vita che celebra Sé stessa, libera dalle restrizioni dell’identità del danzatore.
Allora cessiamo di essere dei danzatori e diventiamo la danza stessa, riempiti dal senso della nostra esistenza infinita.
E’ un esperienza bellissima, ineffabile e difficilmente descrivibile a parole.
D.: Ma con tutta la bella musica classica ed anche moderna che abbiamo a disposizione c’era proprio bisogno di utilizzare quei ritmi tribali per contattare se stessi?
AMS.: Le musiche tribali hanno il grande merito di essere basate su ritmi naturali per l’essere umano, rispettosi dei suoi bioritmi corporei.
Ricordiamoci che la prima musica dell’umanità è stato il battito di mani o forse una pietra battuta su di un tronco cavo e risonante, prima ancora dei tamburi di pelle di animale. Probabilmente il nostro antenato inventore del ritmo, voleva con quel battito amplificare il mistero del cuore che come tamburo scandisce dall’interno del nostro petto il ritmo della vita che ci anima. I ritmi della musica tribale sono rispettosi dei nostri ritmi corporei; pulsando al massimo a 90-100 / BPM (battiti al minuto) non ci costringono ad “impasticcarci” per sostenere i traumatici 170 BPM di certe musiche da discoteca. Vorrei
dire che la “Life Celebration Dance” fa bene al cuore tanto da poter essere addirittura utilizzata
come coadiuvante alle terapie di recupero per le persone infartuate… ma questa è un altro argomento; preferiamo proporre la “Life Celebration Dance” come celebrazione della vita e della gioiosità che ne scaturisce praticandola.
Audio CD
durata: 57.06 minuti
incluso libretto di 8 pagine con il mito di kahajanoory e ricche illustrazioni
Prezzo: €15,00 + € 2,00 di contributo per spese di spedizione
Un’antica leggenda narra la storia di Kahajanoory, un’isola vulcanica in un atollo sperduto dei mari del Sud. Da tempo immemorabile l’isola di Kahajanoory, con il suo maestoso vulcano, era un luogo di pace, letizia e prosperità, dove la popolazione indigena viveva in armonia, dedita alla pesca, alla coltivazione della terra ed alla raccolta della Kwykha, un delizioso frutto tropicale leggermente inebriante a noi sconosciuto. Grazie alla sua posizione geografica, lontana dalle rotte commerciali, quella specie di giardino dell’eden rimase per millenni incontaminato e privo di contatti con le civiltà del resto del mondo. L’intensa vita religiosa era cadenzata da riti antichissimi e dalle feste di celebrazione in onore delle molte divinità che impersonificavano le varie forze della natura preposte alla conservazione della vita in tutto l’arcipelago. Il rito principale era rappresentato da un grande evento di teatro-danza in cui tutta la popolazione veniva coinvolta recitando ed interpretando i vari ruoli dei personaggi mitologici. Le celebrazioni erano scandite da musiche e canti tribali, accompagnati da una orchestra di flauti e percussioni formati da conchiglie di ogni genere e dimensione. Secondo la mitologia dell’isola, Awahka era il dio creatore di tutto l’universo.
Nella notte dei tempi, Awahka, dopo la fatica di aver creato le grandi acque e le terre emerse, scelse l’isola di Kahajanoory per riposarsi e si coricò nel grembo del vulcano, avvolto da una ribollente coltre di oro allo stato fluido e protetto da Hannèh, la dea del fuoco. Durante il suo sonno secolare Awahka sognò che quell’isola incantata incominciava a popolarsi di abitanti che vivevano in perfetta armonia gioendo delle meraviglie della sua creazione.Tutta la popolazione conosceva a memoria il Mito di Awahka e attraverso i riti e le celebrazioni mattutine tentava di assicurare alla divinità un lungo e incessante riposo, avvolto nel bagno di oro fuso, in modo che si perpetuasse il suo sogno creatore, quale garanzia di continuità di quella vita armoniosa in tutto l’arcipelago. Il Mito di Awahka che tutti i bambini imparavano a memoria fin dalla prima infanzia, racconta inoltre del canto della Gohenna (l’iguana sacra), quale segnale premonitore di un possibile nuovo risveglio di Awakha il dio dormiente nelle profondità del vulcano. Secondo le parole tramandate dai sacerdoti, già un tremendo risveglio di Awahka fu provocato dalla cupidigia degli invasori dalla pelle di perla che, attratti dalla luce sfolgorante che il vulcano emanava durante la notte, erano venuti con l’intento di appropriarsi della preziosa placenta di oro fluido che proteggeva il dio, addormentato nel grembo di Kahajanoory. In quell’occasione la luna oscurò il sole e tutti gli abitanti dell’isola udirono il canto premonitore della sacra Gohenna che annunciava l’imminente risveglio del dio Awahka.
Un forte tremito pervase la terra e una grande eruzione di oro fluido sommerse tutta l’isola fondendo nella lava dorata e fumante tutti gli invasori dalla pelle di perla. Quel risveglio inatteso costrinse tutti gli abitanti a lasciare le loro case e fuggire con le canoe verso le isolette deserte dell’arcipelago, dove trascorsero lunghi anni di miseria, tristezza e stenti. Nonostante ciò, la leggenda del Vulcano che eruttò oro fluido, passò le grandi acque ed arrivò all’orecchio di nuovi cercatori che di tanto in tanto si avventuravano senza successo alla ricerca di Kahajanoory la mitica isola dal vulcano d’oro. Dopo moltissimi anni la natura tornò a rifiorire in tutto l’arcipelago e gli eredi di quella popolazione in esilio tornarono sull’isola dei loro avi con l’intento di ricostruire quella vita felice di cui avevano soltanto sentito parlare nei racconti della loro ancestrale tradizione familiare. La vita ricominciò e le celebrazioni del teatro-danza ripresero a propiziare la benevolenza delle deità padrone di tutte le leggi della natura, ma nell’animo dei nuovi abitanti rimase profondamente impressa la paura non rivelata che all’improvviso, nuovi cercatori dalla pelle di perla si affacciassero all’orizzonte con l’intento di sottrarre la linfa dorata di Kahajanoory provocando così un altro terribile risveglio di Awahka. I riti e le cerimonie propiziatorie ora non erano più ispirati dalla gioia e dalla gratitudine per il dono della vita in quel giardino idilliaco, ma erano governati dalla paura di un nuovo risveglio del vulcano. In molti vivevano temendo il futuro ed anziché gioire del canto degli uccelli ascoltavano l’aria, preoccupati di sentire il temuto canto premonitore della sacra iguana. I sacerdoti, preoccupati del crescente clima di apprensione, tentavano in tutti i modi di far dimenticare alla popolazione la leggenda del canto premonitore della Gohenna. Nonostante ogni loro tentativo di tran-quillizzare la popolazione, la paura dell’arrivo di nuovi invasori dalla pelle di perla e del prossimo risveglio del vulcano Kahajanoory era impregnata nell’aria, in ogni granello di sabbia, in ogni filo d’erba, ed anche in ogni foglia dell’intera jungla.
Track 1. The Jungle Knows (the Truth)
La paura della ipotetica minaccia fece perdere alla popolazione il senso di fiducia e di prosperità condivisa ed i capi villaggio meno ispirati incominciarono ad accaparrare riserve di cibo di acqua dolce e di conchiglie. La paura di una nuova visita degli uomini dalla pelle di perla cominciò a crescere sempre più, tanto che i sacerdoti iniziarono pratiche religiose sempre più ossessive ed opprimenti. Ben presto tutta la popolazione fu costretta ad offrire quasi tutte le riserve di cibo sull’altare di Hannèh, la dea del fuoco, per propiziarsene la benevolenza nella speranza che potesse promulgare il proprio calore ed impedire così il risveglio di Kahajanoory.
Track 2 . Ohy Hannèh (Goddess of Fire)
La paura di un’invasione da parte di un nemico invisibile era sempre più tangibile e sempre più spesso venivano rivolte preghiere e scongiuri direttamente al dio Awahka.
Track 3. Invocation to Awahka
Ad un certo momento Jangoho, lo sciamano che si occupava di ammansire gli spiriti affamati, udì in sogno il canto della sacra Gohenna e di conseguenza decise di abbandonare la sua capanna presso il villaggio per andare a vivere nella grotta dei suoi avi vicino alla sacra radura Kawhary, il luogo degli antichi rituali nel mezzo della giungla. Nel suo ritiro portò con sé anche la sua unica piccola figlia Annywha, rimastagli come dono d’amore della sua compagna Kalymihi, morta di parto pochi anni prima. Annywha era cresciuta sorretta dall’amore e dalle cure del padre che vedeva in lei l’unica possibilità di continuazione della sua antica tradizione iniziatica. In quella radura ancora incontaminata dalle vibrazioni delle paure diffuse nella popolazione, lo sciamano Jangoho poteva finalmente esercitare il compito che gli era stato intimamente tramandato da suo padre ed intonare i canti del rituale segreto, per l’invocazione della protezione della dea Gohenna.
Lo sciamano iniziò a praticare i riti segreti, tramandatigli dai suoi avi, per la durata di tre lune, assistito solamente dalla giovane figlia Annywha che mostrava segni di grande interesse e coinvolgimento per quelle pratiche antichissime, a lei apparentemente sconosciute. Ad un certo punto, durante la recitazione del cantico finale, la bambina si unì in coro ai canti segreti del padre, mostrando di conoscere a memoria ogni singola intonazione.
Al culmine della ottantaquattresima notte lo sciamano ebbe la visione del suo compito e la rivelazione di gran parte delle istruzioni necessarie per sconfiggere la paura per il nemico invisibile. In quella stessa notte anche Annywha ebbe la visione dei tempi futuri già concepiti nella mente del dio Awahka che non rivelò nemmeno a suo padre. Di quella visione rivelò soltanto un frammento racchiuso in una nenia che ripeteva incessantemente: “Libera il tuo cuore, abbraccia le tue paure”. Lo sciamano con grande sorpresa riconobbe in quella frase la chiave di comprensione, mancante alla sua visione, per poter liberare la popolazione dalla paura inconscia del possibile ritorno di un nemico sconosciuto.
Track 4. Gohenna Dance Ritual
Dopo aver concluso appropriatamente il rituale segreto, lo sciamano tornò al villaggio e convocò i sacerdoti, gli anziani ed anche i guerrieri. Per la prima volta intonò pubblicamente il cantico del rituale segreto e grazie alla rivelazione della figlia Annywha poté istruire tutta la popolazione al segreto che sconfigge ogni nemico prima ancora che questi compaia all’ orizzonte. Tutti i guerrieri iniziarono a praticare il rito antico nuovamente rivelato dalla piccola Annywha e dopo pochi giorni di pratica tutta la popolazione conosceva il segreto di come liberare il proprio cuore e sconfiggere la paura, semplicemente accogliendola ed amandola per ciò che appare.
Track 5. Free your Heart, embrace your Fears
Durante la danza rituale per lo scioglimento delle paure, l’intera popolazione ebbe la visione collettiva dell’arrivo di un solo ipotetico nemico: un cercatore solitario dalla pelle di perla. Anche le conchiglie profetiche dell’Oracolo Kya Whani indicavano ormai prossimo l’arrivo dei tempi della Grande Trasformazione attraverso l’accoppiamento apparentemente casuale delle combinazioni delle figure simboliche di minaccia con i simboli dell’ opportunità. Il Sacerdote più anziano invitò tutti i guerrieri ed anche le loro famiglie a seguire le indicazioni dell’Oracolo e dello Sciamano, a mostrare il proprio coraggio abbracciando la paura della minaccia e ad accogliere amichevolmente il cercatore solitario come una sconosciuta opportunità. All’indomani di questo rituale, tutta la popolazione mostrava segni di tranquillità e fiducia ispirata dall’idea di rimettere al dio Awahka la responsabilità di manifestare la sua volontà anche con un risveglio improvviso del vulcano Kahajanoory per propiziare i tempi della Grande Trasformazione. Tutti i bambini dell’isola ora scrutavano incessantemente l’orizzonte in attesa dell’arrivo del cercatore solitario dalla pelle di perla come annunciato nella visione collettiva. La profezia non tardò a manifestarsi e all’imbrunire del terzo giorno comparve all’orizzonte la vela di una piccola imbarcazione dalla forma e dalla provenienza sconosciuta. L’intera popolazione accolse festosa il cercatore solitario, fiduciosa che con il suo arrivo iniziassero tempi nuovi, liberi dalle vecchie mal celate paure di una nuova invasione. Il navigatore solitario rimase stupito da tanta festosa accoglienza, e ben presto trovò l’intesa con i capi del villaggio e con tutta la popolazione. Come prova della loro disponibilità, i sacerdoti invitarono l’esploratore a presenziare al rito della Gohenna ed egli, dal canto suo, diede segni di grande interesse e rispetto delle loro pratiche devozionali. Alla fine del rito l’esploratore mostrò un antico rotolo di foglie di palma gelosamente custodite in un cofanetto intarsiato nella scurissima pietra lavica, la stessa pietra che il vulcano Kahajanoory emanava dopo ogni eruzione. Nessuno conosceva l’esistenza di quegli antichi documenti, eppure a tutti i sacerdoti risultavano familiari e preziosi. Certamente quelle antiche foglie di palma perfettamente conservate appartenevano alle tradizioni dell’Isola poiché erano scritte nel linguaggio simbolico antico che solo i sacerdoti e l’oracolo potevano conoscere ed interpretare.
Track 6. The Light Hunter.
I sacerdoti e l’esploratore cercarono però invano di decifrare insieme gli scritti delle foglie di palma ed anche i simboli tracciati sul cofanetto di pietra lavica. In quella grafia, ancor familiare a molti, erano tracciati messaggi scritti nella antica lingua dei padri che si era estinta assieme a loro, dopo l’esodo causato dalla precedente eruzione di Kahajanoory.
Certamente in quelle foglie vi era descritto qualche cosa di molto importante, connesso con l’eruzione di Kahajanoory, ma nessuno poteva stabilire con certezza di quale eruzione poteva trattarsi, se di quella già avvenuta o di quella soltanto immaginata in un incerto momento futuro. In quell’occasione il navigatore solitario mostrò altri disegni e documenti scritti nel proprio linguaggio che descrivevano l’eruzione del vulcano e la comparsa di una grande Luce dorata di portata transoceanica. Con il linguaggio dei gesti e delle intenzioni l’esploratore lasciò intuire che proprio quegli scritti lo avevano attratto verso l’isola vulcanica e che la ricerca della grande Luce dorata era di fatto il motivo del suo viaggio. L’esploratore sosteneva anche che altre profezie di culture molto distanti dall’isola di Kahajanoory annunciavano per quel tempo la comparsa di una grande potentissima luce dorata come simbolo dell’inizio dei tempi della Grande Trasformazione. Seppur con linguaggi e provenienze molto diverse, l’esploratore dalla pelle di perla e lo sciamano Jangoho sembravano convinti dello stesso possibile avvenimento. Nella notte, quando tutti erano assorti nel sonno, l’intera popolazione venne risvegliata dal canto della Gohenna che echeggiava su tutta l’isola con una maestosità ed una potenza mai udite prima. Allora fu chiaro per tutti che qualche cosa di epocale stava per accadere.
Dopo pochi istanti una grande vibrazione accompagnata da un sordo boato scosse tutta l’isola risvegliando anche tutti gli animali, che iniziarono ad inondare l’aria con il concerto assordante dei loro versi più disparati.
Track 7. The Awakening of Kahajanoory.
Un grande bagliore iniziò a comparire sul camino del vulcano Kahajanoory accompagnato da una sorprendente ed ammaliante sonorità, mai udita prima da tutti i presenti. La luce iniziava a propagarsi in modo stupefacente ed i suoni misteriosi divenivano sempre più chiari ed amplificati mano a mano che la luce rischiarava le tenebre ben oltre la portata della luce del giorno. Tutta la popolazione, i sacerdoti e l’esploratore rimasero attoniti ed estasiati dalla meraviglia a cui stavano assistendo per la prima volta nella loro vita. Seppur coinvolti in un fenomeno eccezionale, nessuno si sentiva spaventato o minacciato e tutti erano accomunati da uno spirito di stupore e di meraviglia.
Tutti erano consapevoli di assistere ad un fenomeno sovrannaturale, ma quello che più li sorprendeva era la mutazione del loro sentire interiore. All’improvviso nei loro cuori non c’era più posto per la paura e per la separazione, ma tutti percepivano di appartenere ad un unico grande Essere, composto non solo dall’intera comunità dei loro simili; essi si sentivano in comunione anche con gli animali, le piante e persino con le rocce e le acque che circondavano l’isola. Quella misteriosa esperienza di unificazione si espandeva nei cuori di ciascuno e, mano a mano che la Luce del vulcano si propagava, la coscienza di tutti gli abitanti si espandeva accomunandosi in un’unica grande percezione. Incessantemente la Grande Luce emanata dal vulcano si ampliava assorbendo in sé la coscienza di tutti gli abitanti che ora si percepivano fisicamente sull’isola, ma consapevolmente estesi ben oltre l’orizzonte, a condividere la stupefacente esperienza di essere così sottilmente espansi da poter contenere nel proprio cuore persino le grandi acque dell’oceano circostante e tutti gli esseri marini in esso contenuti. Gli indigeni ed anche l’esploratore fecero l’esperienza di poter percepire contemporaneamente tutte le sensazioni, i pensieri ed i sentimenti di ciascun altro essere. Tutti ebbero allora la comprensione dell’onnipresenza dello spirito di Awahka e si sentirono accomunati in quell’unica immensa esperienza di unificazione dei cuori e delle coscienze con il grande cuore di Awahka. La luce di Kahajanoory crebbe ancora e promulgò l’esperienza dei singoli cuori unificati ben oltre i limiti dell’orizzonte conosciuto, verso una continua incessante espansione che si diffondeva in uno spazio immenso che ora poteva contenere tutti i pianeti, le stelle e le intere costellazioni.
Tutti gli abitanti realizzarono contemporaneamente che la presenza del grande spirito di Awahka non era circoscritta soltanto all’isola di Kahajanoory, ma era illimitata ed espansa in tutto l’universo concepibile. Quegli esseri allora compresero di appartenere da sempre ed indissolubilmente al grande Essere di Awahka. Ognuno comprese profondamente di essere l’incarnazione di un desiderio di Awahka e che la propria presenza sull’isola era soltanto la partecipazione al grande gioco concepito nella mente di Awahka al solo scopo di gioire di tutte le esperienze possibili attraverso tutte le sue innumerevoli forme: il gioco cosmico della creazione di quell’universo chiamato Kahajanoory.
Track 8. Eruption of the Light